LETTURE: ‘SCRITTO DI NOTTE’, DI ETTORE SOTTSASS.
Ci si può imbattere in grandi verità, senza cercarle ma trovandole per caso. Ciò può accadere anche scrivendo le proprie riflessioni su un carnet da taschino: spazio interiore che diviene ricerca della verità. Così pure sui fogli bianchi che fanno compagnia, quando la luce del giorno deve ancora arrivare.
Questo ci è parso di ‘sentire’, leggendo ‘Scritti di Notte’ di un insolito Ettore Sottsass (anche) scrittore, ultimamente pubblicato da Adelphi. Questo abbiamo trovato, leggendo queste riflessioni di Sottsass artista, alle prese con le sue visioni della realtà.
Suggestionati dalla struttura del libro, che ha il ritmo delle pagine di un carnet, ci siamo lasciati guidare da due cose: dall’istinto voyeuristico – nei confronti degli episodi ‘formativi’ dell’autore – e dalla curiosità intellettuale per comprendere, nella tessitura dei suoi pensieri, qualcosa di più sulla poetica tout-court del designer/artista/fotografo.
Imbattendoci nel racconto di un modo di fare Design che non vediamo più in giro. Un modo di fare Design che se da un lato era capace di lasciare tracce autobiografiche dell’autore, senza essere autoreferenziale, dall’altro provava senza dogmi, a ‘dire cose’ sui temi che trattava. Migliorando di fatto, e non solo nelle intenzioni, la scena domestica.
Si comprende subito il senso della sua ricerca, dal racconto del suo Inizio:
“Nella vita ho avuto maestri speciali, maestri che parlavano poco o niente, oppure parlavano per insegnarmi. Qualche volta mi raccontavano storie di disastri o di successi, storie di ignoranze o di bravure, […], capivo – un po’ – che quel maestro speciale mi stava insegnando suo malgrado. Con quelle storie girava intorno alla definizione della cosa, non la metteva sul tavolo bella, chiara, incisa con l’ombra e la luce e con l’aut-aut: prendere o lasciare. Quegli uomini speciali che ho conosciuto raccontavano storie e con le storie lasciavano a me lo spazio per capire quello che sarei stato in grado di capire. Mi lasciavano lo spazio perché diventasse mio quello che potevo fare mio, e per sapere quello che mai sarebbe diventato mio.”
Lasciandosi trascinare da un amabilissimo ‘racconto a sé stesso’, la scrittura di Sottsass ci conduce attraverso la storia del Design, e non solo. Si incontrano: Bruno Zevi, il pittore Spazzapan (suo maestro del colore), George Nelson architetto, Fernanda Pivano (la sua prima compagna), Franca Helg (che definì Sottsass ‘essere spregevole’, per la sua partecipazione come Ufficiale fascista alla brigata Monterosa, contro gli angloamericani, al fianco degli alleati germanici nella Repubblica Sociale Italiana. Cosa che, in verità, per lo spazio che viene destinato nel libro al racconto di quelle vicende, ci sembra una sorta di outing da parte di Sottsass….).
Ma anche, Adriano Olivetti, Ernst Hemingway, Pevsner scultore, Brancusi, la vedova Kandinsky, l’avvocato Giovanni Agnelli, Giangiacomo Feltrinelli, l’architetto Vittorio Gregotti, ecc.
Poi, gli ”scatenati sognatori“: Albini, Zanuso, Magistretti, Gardella, Castiglioni, Viganò, che egli guarda già a distanza, definendoli i ‘fanatici progettisti di un possibile mondo nuovo, un mondo onesto, pulito, chiaro, un mondo per tutti, un mondo, che, speravano, l’industria avrebbe potuto realizzare. Un mondo che quei fanatici progettisti ‘speravano di disegnarlo’.
Come non rintracciare, in quest’ultimo piccolo accenno sui colleghi della generazione precedente, l’embrione di quello che sarà il superamento di quel ‘calvinismo razionalista’ (cito Sottsass), che interesserà il suo periodo creativo più interessante per la storia del Design (penso ai pezzi degli anni ’80)? Oggetti di Design che saranno dei veri e propri ‘giudizi’, in forma apparentemente provocatori – ma con una naturalezza che è la loro singolarità -, sul razionalismo antecedente.
Leggete qui, a proposito del suo fare diverso rispetto agli storici colleghi, e dell’ arché delle sue forme:
“Forse è colpa o merito della mia eredità, dei geni antichi che mi arrivano da molto lontano, da centinaia o migliaia di madri che hanno preceduto la mia, se ero e se seno incapace di inseguire intellettualmente temi grandiosi. A un certo punto mi areno, mi insabbio e se posso torno indietro finché trovo un luogo che riesco a misurare con le braccia”.
Saltando un po’ di pagine, un ultimo spunto ci sembra interessante: la visione degli interni di Ettore Sottsass. E’ bellissima, e dimostra l’obiettivo poetico delle sue cose:
“ Ogni colore, ogni materia vecchia o nuova porta con sé in modo più o meno palese, l’eco della propria storia. Gli echi di quelle memorie, come fantasmi, affollano le stanze, e quegli strani fantasmi vanno tenuti in pace, vanno conosciuti, rispettati e curati, come si conoscono, si rispettano e si curano le parole quando si mettono insieme per scrivere una storia.”
Leggendo questo bellissimo libro, ci chiediamo: c’è ancora spazio per riflessioni come questa nelle cose di oggi, stupidamente impregnate di solo marketing e <business oriented>? La deriva dell’ ‘occhio al prezzo’, – la crisi economica non c’entra nulla! – non illude colpevolmente i fruitori del design di questo nuovo secolo, rendendo narcisisti loro e oggetti di consumo le cose? Dov’è andata a finire la capacità degli oggetti di rappresentare la cultura dell’abitare?
Ecco, Sottsass arriva al cuore delle cose, e la meraviglia è che “fa cose” girando intorno ad esse; senza sentire la necessità di nominarle. Si misura, per tutta la vita, col ‘paesaggio delle ambiguità’, con l’umiltà dei grandi artisti; ‘provando a entrare o almeno a sopportare su se stessi i rischi di tutte le oscurità’.
Grande lezione di Design, in barba alle accademie, e agli accademismi.
Quando il Design parlava dell’umanità di un popolo.
Da leggere, con leggerezza profonda.
(pier giuseppe fedele)